Farmaci equivalenti: il perché del loro valore sociale
di Paola Barni
A parità di efficacia, non richiedono un esborso di denaro per il cosiddetto co-payment, ossia la differenza di prezzo per l’acquisto del farmaco originatore, e permettono di liberare risorse preziose per la collettività. I farmaci equivalenti hanno un ruolo sociale che merita di essere valorizzato
Sono efficaci, hanno le medesime indicazioni terapeutiche e lo stesso principio attivo dei farmaci originatori di riferimento, ma non richiedono un esborso di denaro per il paziente, che andrebbe in aggiunta a quello dell’eventuale ticket: sono i medicinali equivalenti, una risorsa preziosa per il sistema sanitario ma soprattutto per i pazienti, che possono beneficiare di cure fondamentali a prezzi sostenibili.
Farmaco equivalente, cos’è davvero?
In origine chiamato “generico”, dalla traduzione del termine anglosassone generic medicine, il farmaco equivalente è definito dal Decreto legislativo n. 219 del 24 aprile 2006 come “un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica di un medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il farmaco di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità”.
In parole povere, l’equivalente - sempre autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), o dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema) - svolge la stessa azione terapeutica del farmaco di riferimento, differenziandosi nel nome (non di fantasia, ma quello del principio attivo) e, a volte, negli eccipienti, ossia gli altri ingredienti del medicinale privi di azione terapeutica e necessari per rendere somministrabile il principio attivo in una determinata forma farmaceutica.
Perché costa meno?
La corretta informazione è un elemento fondamentale per tutti gli aspetti che riguardano la nostra salute ed è indispensabile per compiere scelte consapevoli. Tra le domande che medici e farmacisti si sentono rivolgere dai pazienti, spesso frastornati da false notizie, c’è: “Perché il farmaco equivalente costa meno?”, come se il valore del farmaco fosse direttamente proporzionale al suo prezzo.
Non è così e la risposta è facile da comprendere, se ben spiegata: ogni farmaco originatore possiede un brevetto disciplinato dalla legge che consente all’azienda produttrice un’esclusiva di commercializzazione dello stesso per una durata di circa 10-15 anni (20 anni circa dalla registrazione del brevetto).
Allo scadere del brevetto, altre aziende possono produrre il farmaco equivalente, che deve rispettare gli stessi iter produttivi e di conseguenza i medesimi standard qualitativi, senza dover sostenere però i costi della ricerca (il principio attivo è noto) né investire in studi preclinici o clinici (già effettuati per il farmaco originatore), poiché l’efficacia e la sicurezza sull’uomo sono già state dimostrate.
Il “taglio” di questi passaggi si traduce in un prezzo inferiore a quello del farmaco originatore di riferimento, a parità di efficacia, sicurezza e qualità, con indubbi benefici sia per i cittadini che per il sistema sanitario.
Miglior aderenza terapeutica
Una maggiore diffusione dei farmaci equivalenti consentirebbe una sensibile riduzione della spesa e, soprattutto, una maggiore aderenza terapeutica da parte dei pazienti, che a volte non si procurano il farmaco necessario al proseguimento delle cure proprio per una ragione economica.
«Purtroppo, però, ad oggi esistono ancora grosse sacche di resistenza tra operatori del settore e soprattutto pazienti, e nei diversi territori vi è ancora una proporzione inversa tra la spesa per farmaci di marca e reddito pro capite» ha dichiarato Marzia Mensurati, direttore Farmacia Territoriale Asl Roma 3 durante l’evento di Motore Sanità dal titolo “Il ruolo sociale del farmaco equivalente”.
«Risorse, queste, che potrebbero essere impiegate dai cittadini per acquistare migliori e più utili servizi». A vantaggio di tutta la collettività, come ha ribadito anche Roberto Tobia, segretario nazionale Federfarma, durante l’ultimo Forum Health organizzato da Fortune Italia. «Bisogna provare a superare il gap con i farmaci “brand”, un gap che ci vede in una posizione differente rispetto alle potenzialità del mercato».
Oggi i cittadini italiani spendono un miliardo e mezzo di euro per l’acquisto dei farmaci originatori, pagando di tasca propria la differenza di prezzo con il farmaco equivalente: in un momento di crisi economica e carenza di risorse, come quello attuale, è importante informare e promuovere una cultura di educazione sanitaria anche per i “non addetti ai lavori” che consenta a tutti di poter scegliere e soprattutto farlo in maniera consapevole.
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